L’EUROPA VUOLE TOGLIERVI LE ARMI… 


DITTATURA!!!
La Commissione Europea sta discutendo in questi giorni l’approvazione di una legge che limita fortemente l’acquisto di armi da fuoco da parte di privati. Una legge simile a quella introdotta dal Terzo Reich che sancì lo stesso divieto nel 1938. A partire da quell’anno, fino al 1945, sono 13 milioni le vittime dei campi di concentramento, tra ebrei e dissidenti politici.C’è chi, riferendovisi, non esita a parlare di un vero e proprio divieto de facto.
Lo scopo ultimo per l’Unione europea, però, sarebbe quello di precludere l’armamento dei gruppi terroristici che stanno insanguinando l’intera Europa.
La manovra riguardante il mercato legale è concepita come complemento ad un’altra, che sta compiendo in contemporanea il medesimo iter burocratico, atta a contrastare quello illegale da cui, dati alla mano, i terroristi attingono quasi esclusivamente per ottenere ciò di cui necessitano. Al momento le concrete iniziative in quest’ambito sono, però, pubblicamente non meglio specificate.
La limitazione ai danni dei privati cittadini, pur muniti di regolare porto d’armi, riguarderebbe “solo” la possibilità di accedere alle armi semi-automatiche e a quelle cosiddette disattivate, ovvero la maggior parte di quelle possedute da privati.
La stessa Commissione Europea precisa che il pericolo derivante dall’acquisto delle semi-automatiche deriva nel fatto che esse possano essere facilmente “trasformate” in automatiche mediante l’installazione di appositi kit reperibili illegalmente. Queste ultime, peculiari per la predisposizione a sparare ininterrottamente e senza rilascio del grilletto fino all’esaurimento delle munizioni, risultano quelle più utilizzate negli attentati terroristici, data la loro superiore capacità di offendere.
Per armi disattivate si intendono, invece, quelle che hanno subìto una serie di contestuali interventi, ad opera di organi preposti, al fine di essere rese non più funzionanti. Una volta classificate come disattivate queste armi scompaiono dai registri ufficiali, ed è proprio in questo momento che sorge il rischio, dato che il processo di disattivazione non è sempre irreversibile. Potrebbero finire in mano a malintenzionati, quindi, armi nuovamente e perfettamente funzionanti, ma non più rintracciabili.
La manovra riguarderebbe anche chi già possiede un’arma dei due generi “incriminati”: per loro ne viene previsto il sequestro.
Le critiche al progetto di legge sono sorte immediate e numerose.
La prima riguarda proprio il fatto sopracitato, ovvero che, nella quasi totalità degli atti criminali di cui si sono resi protagonisti, i terroristi risultino essersi approvigionati dai mercati neri internazionali, primo fra tutti quello balcanico.

Quest’ultimo si nutre dell’immenso arsenale conservato nei paesi della ex Jugoslavia, eredità delle guerre d’indipendenza combattute negli anni 90 dagli indipendentisti dei vari paesi in lotta contro la Serbia di Milosevic, intenzionata invece a consolidare la propria egemonia all’interno della confederazione guidata precedentemente dal defunto generale Tito.
Quella oggetto di discussione, insomma, sarebbe una legge che secondo i detrattori porterebbe a risultati modesti, per non dire nulli, in termini di contrasto al terrorismo. Ad esserne danneggiati, invece, sarebbero esclusivamente i cittadini regolarmente armati.
La questione, inoltre, arroventerà un dibattito che, specialmente in Italia, è già caldissimo, ovvero quello riguardante la possibilità di difendere sé stessi, i propri cari od i propri beni da malintenzionati o presunti tali.
C’è poi chi pone poi l’attenzione sul numero di lavoratori che resterebbero senza occupazione nel caso di una così forte contrazione del mercato globale delle armi da fuoco.
Al di là degli enormi interessi lobbistici, ci si vuol qui riferire ai numerosissimi operai che popolano quotidianamente a vario titolo gli stabilimenti produttivi sparsi in tutto il mondo, e che contribuiscono ad un commercio dall’indotto spaventoso. È stato calcolato che dal 2012 al 2016 la sola esportazione di “armi comuni”, ovvero quelle per difesa personale, sport e caccia, abbia creato un giro d’affari, in Italia, di 350 milioni di euro.
Il secondo ordine di critiche è invece retrospettivo: nel corso del XX secolo il divieto ai civili di armarsi è stata la prerogativa a stermini e genocidi terribili, perpetuati da regimi più o meno apertamente dittatoriali di qualsivoglia orientamento ideologico.
Le distinzioni, ovviamente, sono doverose: si trattava di contesti geo-politici e storico-culturali fortunatamente ben diversi da quelli in cui sta vivendo l’odierna Unione Europea.
Eppure la constatazione di questo dato di fatto non manca di gettare un’ombra un pò inquietante sull’intera vicenda.
Tra il 1915 ed il 1917 avviene il cosiddetto olocausto degli armeni: ammontano a circa 1,5 milioni coloro che vengono deportati e sterminati ad opera dell’Impero Ottomano. Nel 1911 erano stati resi inoffensivi dal divieto di possedere armi.
Nel 1929 anche l’Urss introduce il divieto di possesso di armi rivolto ai civili. Da quella data al 1953, anno della morte di Stalin, le “grandi purghe” sovietiche hanno sterminato circa 20 milioni di dissidenti, precedentemente resi impossibilitati a difendersi.
Il Terzo Reich tedesco guidato da Hitler introduce lo stesso divieto nel 1938. A partire da quell’anno, fino al 1945, sono 13 milioni le vittime dei campi di concentramento, tra ebrei e dissidenti politici.
La Cina ha disarmato i propri civili nel 1935. Circa 10 anni più tardi e fino al 1952, il leader del paese e del partito comunista, Mao Tse-tung, ne viene avvantaggiato per l’eliminazione di circa 20 milioni di dissidenti indifesi.
Le forze governative del Guatemala, successivamente condannate per genocidio, introducono il divieto nel 1964. Da quell’anno fino al 1981 ben 100mila indiani Maya, quasi tutti contadini poveri, vengono sterminati con l’accusa di sostegno ai ribelli antigovernativi.
I comunisti cambogiani, freschi vincitori della guerra del Vietnam a fianco dei nordvietnamiti contro gli Usa, hanno approfittato del divieto per i civili di armarsi in vigore dal 1956 per eliminare, tra il 1975 ed il 1977, un milioni di cittadini allo scopo di imporre il potere comunista nel resto dell’Indocina.
La storia, insomma, ci offre una curiosa (e fosca) suggestione riguardo l’eventuale approvazione della legge che l’UE si appresta a discutere.
E se nessuno vuole insinuare che le intenzioni dei governanti europei siano nemmeno paragonabili a quelle di coloro che li hanno preceduti nell’approvarla, è un dato di fatto che la limitazione degli armamenti privati abbia costituito una tentazione irrinunciabile per molti governi rivelatisi successivamente assoluti.
Spesso chi sostiene che il rapporto tra numero di armi pro capite e numero di reati violenti compiuti cresca in maniera direttamente proporzionale, porta ad esempio gli Stati Uniti.
L’oggettiva facilità nell’acquistare armi in territorio americano sarebbe quindi, semplificando, una delle cause della scarsa sicurezza sociale e della difficoltà nel contrastare gli atti violenti di cui le stesse armi da fuoco sono spesso protagoniste.
Questo mito viene inesorabilmente sfatato nel momento in cui si analizza la situazione della Svizzera. Quest’ultima, infatti, in proporzione al numero di abitanti, vanta il più alto numero di armi pro capite dell’intera Europa. Pur restando distanziata dalle cifre relative agli Usa, si è calcolato che, nel 2016, per ogni 100 abitanti elvetici siano ben 45 quelli armati (in Italia ce ne sono meno di 12).
Eppure, diversamente dagli Stati Uniti, la Svizzera è da svariati anni, nel panorama europeo, uno dei paesi col minor tasso di criminalità, collocata appena a ridosso degli insuperabili paesi scandinavi.
Per concludere, al di là delle elucubrazioni su corsi e ricorsi storici e del fuorviante rapporto armi-abitanti, ciò che conta davvero per mantenere sotto i livelli di guardia la tensione sociale di un paese dev’essere ricercato, ad esempio, nell’integrazione di stranieri e minoranze, nel livello medio dei salari, nella disoccupazione e nello stanziamento delle forze di polizia sul territorio.

(Autore: Luca Pegoraro – 29 dicembre 2016) 
Danilo Amelotti (che ovviamente sposa lo scritto!)

E POI LEGGI ARTICOLI COSÍ E NON PUOI NON CONTESTARLI. In risposta a: Siamo forti a sparare ma, nell’era del terrore, c’era bisogno degli spari olimpici di Rio? 

E’ buffo come certe persone vedono il mondo e lo interpretino a modo loro!

Personalmente sono sempre stato per la libertà di stampa e di parola, quindi anche per la libertà dell’autore dell’articolo che segue di scrivere le sue idee.  Ma non posso esimermi dal contestarlo, e dal contestare ogni parola, frase e pensiero del suo articolo.

Lo sport, seppur usi strumenti simili a quelli usati da terroristi e delinquenti, non può mai essere avvicinato agli stessi.  Infatti, paragonare lo sparo di una doppietta da tiro al piattello allo sparo di un fucile maneggiato da un folle o da un soldato non ha alcun senso; il paragone citato dall’autore di questo articolo è simile a paragonare un cuoco che con maestria nell’uso del coltello, affetta perfettamente una bistecca o un cavolo, ad uno dei tanti assassini che ultimamente hanno ucciso per mezzo di machete, coltelli, accette o altro!

No caro Sig. Boldolini, la sua libertà di espressione deve comunque e sempre essere abbinata alla capacità di intavolare riflessioni o discussioni sane, non basate sulla paura o sulla cieca ed estremista categorizzazione di uno strumento ad un unico scopo!

Penso di poter dire senza remora alcuna che questo suo articolo potrebbe essere avvicinato al pensiero estremista di chi, in quest’ultimo anno, ha commesso atti barbarici nel nome di un “libro” che dice esser stato scritto da un “semidio”.  Per come la mette lei, allora, dovremmo fermare le corse dei camion (certo non sono famose come le olimpiadi, e forse lei non sa nemmeno che esistono), riporre tutti i coltelli ed i machete nei cassetti, smettere di guidare le macchine, e magari interrompere anche le attività nelle cave, così da non dover più sentire il rumore di quel motore, o la vista di quella lama, o il boato di quell’esplosione che tanto ci ricordano atti efferati accaduti per mezzo di quegli stessi strumenti usati però per provocare la morte!

Forse è il momento che tutti voi “pacifisti delle 10.45” smettiate di strumentalizzare le sole armi da fuoco, nel tentativo mal riuscito di trovare un facile responsabile a tutte le vostre più radicate paure, o di ottenere qualche visualizzazione in più della vostra pagina web (e così guadagnare qualche soldo in più con la pubblicità spazzatura di cui amate cospargere i vostri siti). Ciò che invece dovreste fare è un informazione lecita, una critica costruttiva, o delle proposte sensate che non siano alla ricerca del “like” bensì alla ricerca della “giustezza sociale”.

Danilo Amelotti

Segue l’articolo che contesto! 

Oro, argento e mira”, titola la Gazzetta dello Sport. Viva l’Italia, viva “le madri con in mano un fucile”, viva il medagliere che ingrassa. Dello stesso tenore, tutti i media italiani. Eppure, basta distogliere lo sguardo dal video, e ascoltare il suono che accompagna queste vittorie, perché un dubbio sotterraneo s’insinui.Lo sappiamo, è quasi impossibile e, visti i successi italiani, suonerebbe persino anti-patriottico, se non vetero-pacifista, ma non è questo il punto. Il punto è che, dopo più di un anno di spari, esplosioni e sangue, il vero gesto olimpico sarebbe stato sospendere le discipline di tiro.

Ci perdonino le “mamme-cecchino” Bacosi e Cainero, il tiratore di ghiaccio Campriani, tutti sparatori indefessi e maniacali, tutti pistola, sacrifici e famiglia, ma onestamente in questo momento, mentre ancora riecheggiano gli spari dei kalashnikov del Bataclan, o le immagini dei neri americani uccisi per strada dai poliziotti, non riusciamo a vedere molta gioia sportiva nel colpire un piattello, nessuna felicità nel centrare un bersaglio imbracciando carabine o fucili da caccia. E l’eco degli spari risuona inquietante, mentre la retorica che l’accompagna persino oscena.

Sappiamo che questo ragionamento ha un punto debole, che le discipline di tiro non sono le sole a simulare antiche e nuove tecniche di guerra. E che anche gli sport di squadra sono il simulacro di conflitti per il controllo del territorio. Eppoi che fare con le lame, con le sciabole, con il fioretto? Con la lotta e la boxe?Insomma, che lo sport serve anche a questo, a fare la guerra tra paesi per finta, a renderla liturgia giocosa.

Però, però, ci sono quei suoni degli spari… e quei gesti così simili a quelli che ci hanno terrorizzato negli ultimi mesi che grazie anche ai social sono entrati con prepotente familiarità nel nostro immaginario quotidiano.Un’esagerazione? Durante la prima e la seconda guerra mondiale i Giochi furono per forza di cosa sospesi, se questa che stiamo vivendo, come autorevoli personaggi non mancano di sottolineare, o di evocare, è davvero la terza, una sospensione degli spari a Rio sarebbe stato forse opportuno.

Source: Siamo forti a sparare ma, nell’era del terrore, c’era bisogno degli spari olimpici di Rio? | Stefano Baldolini