SONO LE NOSTRE SOCIETÀ SICURE? …  Turchia: strage in night club a Istanbul, 39 morti e 69 feriti. Tra le vittime 15 stranieri – Medio Oriente – ANSA.it

 

Il terrorismo colpisce la Turchia nella notte di Capodanno:

è di almeno 39 morti e 69 feriti l’ultimo bilancio ufficiale di un attacco avvenuto in una famosa e affollatissima discoteca di Istanbul, non ancora rivendicato ma le cui caratteristiche fanno pensare a un attentato a firma Isis. Al momento identificate 21 vittime, di cui 15 straniere.

IL VIDEO, TERRORISTA RIPRESO DURANTE L’ATTACCO

L’attentatore del nightclub Reina di Istanbul non indossava il costume di Babbo Natale, come riferito finora da alcune testimonianze, e ha lasciato la pistola prima di fuggire. Lo ha detto il premier turco, Binali Yildirim.

E nel pomeriggio un uomo armato ha sparato davanti ad una moschea di Istanbul ferendo almeno due persone prima di fuggire. Lo riferiscono i media locali. La sparatoria è avvenuta nel quartiere di Sariyer.

LA STRAGE – Non ci sono italiani coinvolti nel sanguinoso attacco di stanotte alla celebre discoteca ‘Reina’ del centralissimo quartiere Besiktas di Istanbul. Ne ha dato notizia il ministro degli Esteri, Angelino Alfano. E queste sembrano essere finora fra le poche certezze che emergono dopo 15 ore dall’attacco, che è ancora largamente avvolto nella confusione e ancora non è stato rivendicato: non si sa con certezza se il terrorista abbia agito effettivamente da solo.

Di lui si sa che è entrato vestito di nero e incappucciato con un fucile automatico in braccio con cui ha sparato ad un agente di guardia al locale, che all’interno era vestito di bianco con un cappello a pon-pon bianco, che si è cambiato dopo aver massacrato le persone all’interno del locale, “sparando ovunque, come un pazzo”, ed è riuscito a fuggire nella notte, scatenando stamani una gigantesca caccia all’uomo estesa a tutta la Turchia alla quale partecipano almeno 17.000 agenti. Le poche certezze sono quelle suggerite dalle immagini catturate dalle telecamere di sicurezza, ma alcuni testimoni sopravissuti alla strage hanno raccontato di aver sentito sparare più di una persona, forse due o tre terroristi.

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Turchia: strage in night club a Istanbul, 39 morti e 69 feriti. Tra le vittime 15 stranieri – Medio Oriente – ANSA.it

Fine del 2016… La strategia Obama fallisce nuovamente! 

Falliti gli ultimi colpi d’ala dell’anatra zoppa – IlGiornale.it

Nella recente storia americana, nessun presidente uscente aveva mai tentato, nelle sue ultime settimane alla Casa Bianca da «anitra zoppa», di sabotare apertamente il programma del suo successore. A conclusione di otto anni di una politica estera giudicata dai più fallimentare, Obama ci ha provato: prima ha diretto i suoi strali contro Israele, con cui Trump vuole ripristinare i vecchi, strettissimi legami, ordinando di non opporre, come era consuetudine da decenni, il veto americano a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che condanna lo Stato ebraico per la politica di insediamenti in Cisgiordania e mette perfino in dubbio la legittimità della sua presenza a Gerusalemme Est. Sei giorni dopo, ha cercato di avvelenare ulteriormente i rapporti con la Russia, con cui Trump punta a una grande riconciliazione in funzione anti Isis, imponendo sanzioni severissime per il presunto hackeraggio del comitato centrale del Partito democratico da parte di agenti del Cremlino, che avevano l’obbiettivo di danneggiare la Clinton.

Con questi colpi di coda, Obama contava presumibilmente di conseguire due obiettivi: da una parte, legare le mani al presidente-eletto mettendo i bastoni tra le ruote a due delle sue iniziative più innovative (e insinuando addirittura che abbia conquistato la Casa Bianca con l’aiuto dei russi); dall’altra, prendersi una specie di rivincita sui due leader internazionali, Netanyahu e Putin, che negli otto anni della sua presidenza, gli hanno creato i maggiori problemi e con cui ha avuto il peggiore rapporto personale. Salvo sorprese, sembra tuttavia aver fallito su entrambi i fronti.

Nonostante il tentativo di giustificare la rinuncia al veto con la necessità di tenere vivo il concetto dei «due Stati», perseguito senza successo da decenni soprattutto a causa del rifiuto palestinese di riconoscere Israele come «Stato ebraico», la mossa ha finito con il ritorcersi contro Obama: è stata accolta malissimo dal Congresso (compresi molti esponenti democratici), ha spinto Trump a esortare gli israeliani a tenere duro «perché il 20 gennaio è ormai vicino» e non ha influito minimamente sulla politica di Netanyahu, che sa di potere contare sulla «protezione» del nuovo presidente. Anzi, è probabile che proprio per rispondere a Obama, Trump sposti davvero come ha promesso l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendola finalmente come capitale.

Nella partita con i russi Obama aveva almeno una valida giustificazione: Cia e Fbi hanno raccolto solide prove che il Cremlino ha cercato di interferire con una sofisticata offensiva cibernetica nelle elezioni americane. Ma la rappresaglia adottata, con in testa la espulsione di ben 35 diplomatici, è sembrata fatta apposta per spingere il Cremlino come è d’uso a una ritorsione equivalente, alimentando ulteriormente la già esistente guerra fredda e rendendo difficilissima a Trump qualsiasi apertura. Per diverse ore, ieri, è parso che le cose andassero proprio così. Il ministro degli Esteri russo Lavrov aveva già perfino annunciato le contromisure in tv. Ma all’ultimo momento Putin con una mossa che ha spiazzato tutti ha detto che non intendeva reagire a questa «diplomazia di basso livello», ha invitato i bambini dei diplomatici americani al Cremlino e fatto a Obama gli auguri di buon anno. Trump potrà così rimuovere, entro un ragionevole periodo di tempo e senza eccessivo imbarazzo, sanzioni di per sé non del tutto ingiustificate (e approvate anche dai repubblicani) e proseguire nel suo piano; e il presidente Nobel per la pace, appena umiliato dall’esclusione dell’America per le trattative di pace in Siria, se ne andrà a casa con un altro insuccesso.

http://m.ilgiornale.it/news/2016/12/31/falliti-gli-ultimi-colpi-dala-dellanatra-zoppa/1347072/

The world has become obsessed with elites ( The Economist)

AN ACADEMIC, a politician, a journalist, a film star, a nobleman and a banker walk into a bar. They order different drinks, and sit at separate tables each doing their own thing. There is no punch line; these people do not belong together in any sensible way. Yet members of these groups and others are regularly given the same label: “elites”. Careful writers should avoid this word; it is becoming a junk-bin concept used by different people to mean wildly different things.It is easy to understand why people reach for “elites”. If pundits can agree on anything about 2016, it is surely that it has been bad for elites. Populist wave after populist wave has broken over Western politics, with a vote for Brexit, the election of Donald Trump and Italy’s loss of a popular young prime minister over a constitutional referendum that he called—and lost. The masses are out for blood, and the elites are quaking.

But if you can picture those masses in your mind—pitchforks, torches, perhaps overalls—what do the elites look like? For Mr Trump, the hated elites comprise the Washington political establishment and the press. But for his own opponents, the very idea of a billionaire who lives in a golden tower swanning in and winning himself the presidency just goes to show what elite status can get you.

Campaigners for Brexit railed against liberal elites—the economists, academics and journalists who warned of its consequences. But the face of the Leave campaign was Boris Johnson, an Eton- and Oxford-educated toff. Michael Gove, another Leaver, said that folks were tired of “experts”. But Mr Gove, like Mr Johnson, is a former president of Oxford’s leading debating society, the Oxford Union, and one of politics’ pointier heads. In other words, no matter who you are or what you’re campaigning for, bashing elites seems a safe bet, while admitting to being a member of anelite is an absolute no-go.

The obsession with elites is relatively recent: the oldest citation in the Oxford English Dictionary (OED) dates back to 1823. It was only a singular noun, from a past participle in French, meaning “chosen”; from the same root as “to elect”. (Its very Frenchness may make elite such a delicious word for some Anglophones to hurl as an insult.) The OED says the English noun is “The choice part or flower (of society, or of any body or class of persons)”.

This entry has not yet been updated to include its more recent sense, the pejorative version, often plural, which can be glossed as “people with unearned privileges who keep honest folks from getting a fair shake”. Data from Google Books show the plural word “elites” beginning to be used in about 1940, with the obviously pejorative “elitist” rising from about 1960. The anti-authority cultural changes of the 1960s, it seems, brought with them a rising concern with elites and their apologists.

Data from the New York Times show an even sharper spike in mentions of elites since about 2010, as article after article has tried to diagnose anger at elites. Populist anger is hardly surprising: elite financiers tanked the global economy, elite economists failed to foresee it and political elites failed to respond effectively enough. Those elites in the crosshairs had to find other elites to blame, and they did so. Elite scientists and Hollywood liberals whining about climate change cost coalminers their jobs. Elite London journalists noshing on sushi ignore the problems that hard-working northern Brits suffer as a result of immigration. Cultural elites police what can be said about minorities. And so on.

But the rush to blame elites has nearly everyone in the crosshairs: Sketch Engine, a digital tool for lexicographers, finds among the common modifiers for elite not just obvious ones like “ruling”, “wealthy”, “monied”, but also “secular”, “cultural”, “educated”, “metropolitan” and “bureaucratic”. Elites are no longer “the choice part or flower” of a group, but merely anyone in a position of influence someone else thinks they do not deserve.

Words aimed more precisely serve their purpose better. Elites are an abstraction. If people are angry at bankers or at climate scientists, they should say so specifically. Those seeking to diagnose the causes of the current wave of populism need to understand what populist voters are truly angry about. Those who are angry at elites generally, but can’t say more specifically who they are angry at or why, should think twice before voting for a populist who promises to find and punish those elites, whoever they are.

Johnson: the meaning of “elites”

Source: The world has become obsessed with elites | The Economist

Crisi in Repubblica Centrafricana: un fragile punto di svolta

centrafica-daniloamelotti-com-mappaINCORAGGIANTI SEGNALI DI CAMBIAMENTO – Se si volge lo sguardo all’indietro, all’inizio della più grave crisi mai avvenuta nella Repubblica Centrafricana dalla fine del dominio coloniale francese (1960), il peggio appare passato.

Floating along the Serengeti

Sullo stesso tono anche la conferenza per il Centrafrica tenutasi a Bruxelles lo scorso 17 novembre, in cui i rappresentanti di più di 80 paesi hanno a parole rinnovato il loro supporto finanziario alle autorità centrafricane impegnate nel restaurare la pace e la sicurezza del Paese, rinnovare il contratto sociale e rivitalizzare l’economia.

 

 

Obiettivi, quest’ultimi, contenuti nel Piano per il recupero nazionale e la costruzione della pace 2017-2021, documento strategico presentato ufficialmente a Bruxelles da parte del presidente Touadéra, con il benestare dell’Unione Europea, della Banca mondiale e delle Nazioni Unite. Fa pensare di essere sulla strada giusta – quella della buona politica basata sulla consultazione delle diverse parti sociali – il fatto che la formulazione di questo piano quinquennale, su cui l’attività del governo dovrebbe fondarsi, riposa sulla consultazione di ben 14 mila persone, coinvolte in incontri bilaterali tra governo e parti sociali, rappresentanti del settore privato, esperti tecnici e finanziari, e al livello popolare, con workshop e distribuzione di questionari in 16 prefetture del paese.

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Questo approccio conferma le buoni   intenzioni che sono state alla base del Forum sulla riconciliazione nazionaleorganizzato nel maggio 2015 a Bangui, a cui presero parte più di 600 partecipanti in rappresentanza delle parti sociali, dei partiti politici, dei media, dell’associazionismo, delle religioni. Questo ottimismo è confermato dall’entusiastica accoglienza riservata al presidente Touadéra al suo rientro da Bruxelles il 22 novembre, che ha precisato «Non sono rientrato a casa con i contanti, ma con la promessa di riceverli».

LO STALLO DELLA POLITICA INTERNA – La crisi centrafricana è diventata una tragedia umanitaria per via dello scontro tra due gruppi armati, ex-Seleka e anti-Balaka, coalizioni multiformi e disomogenee.  Gli Ex-Seleka appartengono alla minoranza musulmana, sono originari delle regioni settentrionali del paese, molti provengono dal Chad e dal Sudan. Gli Anti-Balaka sono gruppi di autodifesa composti da individui di fede cristiana e animista, sorti spontaneamente in reazione alla presa del potere dei Seleka a Bangui nel marzo 2013 e alle violenze perpetrate sui civili. Questo scontro tra gruppi armati è divenuto violenza inter-comunitaria, alimentata dall’identificazione dei civili con le due parti in conflitto. Questa dimensione civile del conflitto ha causato un significativo ridimensionamento della minoranza musulmana attraverso la pulizia etnica e la rimozione forzata, centinaia di migliaia di sfollati e rifugiati, e migliaia di morti tra i civili.

Metà della popolazione centrafricana è ancora in uno stato di bisogno e di insufficienza alimentare, 385.000 sono gli sfollati interni e 466.000 sono i rifugiati nei paesi confinanti (Chad, Cameron, Repubblica Democratica del Congo e Congo). Nonostante siano in crescita i rientri degli sfollati interni (in ottobre 3500, nel 2016 circa 200000) è difficile prevedere quando e secondo quali modalità rifugiati e sfollati ritorneranno nelle loro case, anche alla luce della perenne minaccia che incombe sulla vita dei profughi residenti negli 89 siti per sfollati ad oggi presenti nel paese. L’uccisione di 37 civili, il ferimento di altri 56 e la fuga di migliaia di sfollati dal campo protetto dalle forze ONU nei dintorni della cittadina di Kaga Bandoro (nord-ovest del paese) lo scorso 12 ottobre, testimonia quanto vulnerabile sia la vita umana in Repubblica Centrafricana e quanto sia inefficace la protezione garantita dalla missione internazionale MINUSCA (ora unica forza internazionale rimasta a garantire la protezione dei civili a seguito della conclusione dell’operazione Sangaris alla fine dello scorso ottobre).

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TOUADERA RISCHIA GROSSO – Al di là del favore guadagnato sul piano internazionale, la leadership interna di Touadéra corre seri pericoli di essere destabilizzata dalla frustrazione delle fazioni ex-Seleka che hanno richiesto di occupare posizioni governative, di essere reintegrati nelle forze di difesa e sicurezza nazionale e di implementare politiche più inclusive nei confronti della minoranza musulmana, come precondizione ai negoziati sul disarmo. I negoziati per il disarmo, la smobilitazione e la reintegrazione dei gruppi armati – considerati il nodo più difficile da sciogliere per un’evoluzione positiva della crisi – sono in una fase di stallo. Solo lo sblocco di questa situazione e il raggiungimento di un accordo tra le parti non renderà vani gli sforzi per risolvere questa crisi. La “luna di miele” del presidente Touadéra con il microcosmo politico di Bangui pare essersi conclusa. Malcontento nei suoi confronti è stato espresso anche da leader religiosi e organizzazioni civili. Da ultimo, nuove mire di potere vengono avanzate dal clan del ex-presidente Bozizè, nelle vesti del figlio Francis, che intende porre riparo al flop politico del padre alle presidenziali.

COSA FARE PER USCIRE DALLA CRISI – La crisi in corso, acuitasi a causa del conflitto, è precedente ad esso ed è multidimensionale (umanitaria, economico, politica, sociale, di sicurezza della vita umana). Ha radici profonde, difficili da estirpare: povertà estrema e sottosviluppo, sbilanciamento tra capitale e periferie del paese, svuotamento del sistema statale giudiziario, sanitario e scolastico, diffidenza ed esclusione della minoranza musulmana, mancanza di coesione sociale e forte tensione tra diversi gruppi sociali, economici, etnico e religiosi, cultura dell’impunità, potere corrotto e privo di legittimità popolare. Il nuovo corso politico cominciato nel 2016 si dimostrerà all’altezza solo se si interverrà sulle radici profonde della crisi. Questo significa offrire un’alternativa alla violenza, a cui la popolazione centrafricana ha fatto ricorso come ultima risorsa per sopravvivere a un drammatico status quo.

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Crisi in Repubblica Centrafricana: un fragile punto di svolta

Defense Department’s Environmental Agenda to Come Under Fire – Blog

Anticipated actions by the Trump administration and Congress should lead to a significant rollback of the Pentagon’s renewable energy and climate initiatives. With the incoming administration poised to dismantle Obama’s clean energy and climate policies, the Pentagon could soon begin to phase out controversial programs like military biofuels and portable nuclear reactors.Trump has pledged to end policies that “undermine and block America’s fossil fuel producers,” rescind “job-destroying executive actions,” end the “war on coal” and scrap Obama’s “climate action plan and the clean power plan.”

The president-select has nominated leaders for the Environmental Protection Agency and the Energy Department whose views are diametrically opposed to those of the outgoing administration.Many of the Pentagon’s clean-energy programs, however, might be hard to undo as they are tied to the military mission or meet a specific tactical need. The military and intelligence communities’ climate focus also is rooted in security concerns. As a war commander, defense secretary nominee retired Marine Corps Gen. James Mattis was a vocal advocate of energy-saving initiatives.

He made headlines for speaking out about the military’s heavy dependence on fuel and calling for new approaches to manage and provide energy in the battlefield.Pentagon energy initiatives that reduce the military’s logistics burden should continue to receive support, but more comprehensive efforts by the Defense Department to increase use of renewable energy and curb the effects of climate change — programs that served as an extension of Obama’s national energy policies — are not likely to survive, experts say.“It’s not uncommon for an incoming administration to want to clear the slate,” says Sharon E.

Burke, a senior adviser at New America, a Washington think tank. “I just hope they have common sense about it and don’t throw away projects and programs that really support war fighter needs,” says Burke, who in 2010 was named the first-ever assistant secretary of defense for operational energy plans and programs. Burke speculates that Mattis will stick with energy programs that are clearly “core defense,” she says. When he led troops in Iraq, “Mattis considered operational energy issues to be in support of the war fighter.”Mattis commanded the 1st Marine Division in 2003 in Iraq and worried his troops were slowed down by fuel resupply lines that could not keep up.

He later commented that the Defense Department…

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 Defense Department’s Environmental Agenda to Come Under Fire – Blog

WikiLeaks reveals emails from President Erdogan’s son-in-law ‘proving ISIS connection’ | (Daily Mail Online)

Julian Assange, WikiLeaks founder, said the emails had been released after the Turkish government attempted to silence voices of dissent Read more: http://www.dailymail.co.uk/news/article-4006568/WikiLeaks-reveals-57-000-emails-son-law-President-Erdogan-proving-connection-ISIS-operation-smuggling-oil-Turkey.html#ixzz4T6xrhwAc Follow us: @MailOnline on Twitter | DailyMail on Facebook

WikiLeaks has released a tranche of more than 57,000 personal emails from the account of Turkey’s Minister of Oil Berat Albayrak.Albayrak is the son-in-law of the country’s president, Recep Tayyip Erdogan. The emails span a six-year period from 2000 to 2016 and allegedly reveal his level of influence in the country’s political scene.The emails appear to have been obtained by Turkish hacktivist group Redhack, and which threatened to make his communications public back in September.

The emails, which allegedly contain details of exchanges between Albayrak and the Turkish ‘ruling elite’ were briefly published earlier this year, before being taken down following a crackdown by the Turkish government.

WikiLeaks alleges that the emails reveal ‘Albayrak’s involvement in organisations such as Powertrans, the company implicated in Isis oil imports’.

The company has been implicated in oil imports from ISIS-controlled oil fields.

Turkey banned oil transportation by road or railway in or out of the country in more than five years ago, but with provision for limited exceptions such as meeting the needs of the military.

WikiLeaks claims that the Turkish government later gave Powertrans the monopoly on the transit of oil.

Julian Assange, WikiLeaks founder, said the emails had been published in response to the Turkish government’s silencing of detractors.

He said: ‘The people of Turkey need a free media and a free internet.

‘The government’s counter-coup efforts have gone well beyond their stated purpose of protecting the state from a second Gulenist coup attempt and are now primarily used to steal assets and eliminate critics.

‘The Turkish government continues to use force to jail journalists, shut down media and restrict internet access to its citizens, depriving them of their ability to access information about their situation including by banning WikiLeaks.

‘This consolidation around the power vertical of Recep Tayyip Erdoğan ultimately weakens Turkish institutionalism, leaving Turkey more susceptible to future coups by those in Erdoğan’s chain of command.’

Source: WikiLeaks reveals emails from President Erdogan’s son-in-law ‘proving ISIS connection’ | Daily Mail Online

REFERENDUM COSTITUZIONALE: – IO VOTO NO -anche se lui ci dice di votare si- ecco il perché.

Source: (3) REFERENDUM COSTITUZIONALE: – IO VOTO “SI”-

Il video lincato in questo breve scritto è del “Sindaco di Verona Sig. Flavio Tosi”, il quale, con lo stesso, ci spiega una delle sue ragioni al si.

Anche in questo caso vorrei proporvi un altra visione della questione.  In breve il sindaco adduce come motivo al suo si il fatto che la modifica alla costituzione “romperà” il perfetto bicameralismo attualmente in vigore.  A sostegno di questa sua opinione, ci pone come esempio la comparazione del Bicameralismo perfetto alla gestione di una città da parte di un sindaco che abbia due consigli comunali.

Ebbene, seppur l’esempio nella sua brevità possa sembrare calzato e a giusto sostegno della sua (e dei favorevoli al Si) opinione, basta un minimo di riflessione per capire che invece ci mostra propio l’esatto contrario.

Ma andiamo per punti:

1- Governare una città, seppur grande e complessa come potrebbe essere Roma, non è propriamente paragonabile al governare una Nazione.  Infatti, la città non ha relazioni “internazionali”, non gestisce i confini cittadini al pari dei confini nazionali, non gestisce le forze armate, non ha da gestire l’interazione con la comunità europea (se non per le sue minime competenze) ecc. ecc.

2-  Il sindaco di una città non ha le risorse economiche e di potere che ha una nazione intera, quindi anche li dove dovesse commettere un grave errore, non rischierebbe mai comunque di (ad esempio) dichiarare guerra ad una città confinante, o di cambiare una legge in favore del suo singolo potere.  In poche parole, nessun sindaco mai rischierà di diventare un Dittatore!

3- Se a pensar male si fa bene, allora bisogna anche dire che, con il cambiamento della costituzione, il qui menzionato Sindaco Flavio Tosi, potrebbe divenire uno dei sindaci che siedono alle poltrone dei senatori, e sempre per voler pensar male, il fatto che proprio lui sindaco ci proponga di votare Si alla riforma, mi da da pensare che possano esserci dietro degli interessi personali.

Alla luce di questi tre punti, mi rimane semplice dire che, come ormai succede sempre, il fronte del SI sceglie sempre “slogan ad effetto” mancanti però sia di sostanza concreta sia di “chiarezza d’intenti”.

Come sempre, questa rimane una mia personale analisi, una mia personale idea, e sta a voi giudicare quanto le mie parole possano essere più o meno corrette, e soprattutto decidere cosa votare il 4 Dicembre

IO VOTO NO

Danilo Amelotti

#daniloamelotti

Chi si fida è perduto! Renzi e i diritti negati ai disabili, ecco il video censurato

Dopo queste mie brevi considerazioni pregherei tutti di sedersi e prendersi il tempo di vedere il video (cliccando sul link in fondo).

Il Grave fatto del nomenclatore non aggiornato ha molteplici risvolti nella valutazione che ogni cittadino dovrebbe fare sia sull’amministrazione di questo (e dei precedenti) governo, sia sul attuale Presidente del Consiglio (che per inciso amo ricordare essere stato nominato non dal popolo!).

Se posso concordare sul fatto che aggiornare un documento così complesso ed importante come il Nomenclatore, dopo ben diciassette (17) anni che non veniva nemmeno tolto dal cassetto, sia un operazione di sicura complessità e che richieda molto tempo, non capisco per quale motivo il presidente del Consiglio Italiano debba insistere nella menzogna.

Al posto suo, una persona seria e competente (non di nomenclatore, quanto di burocrazia) avrebbe immediatamente dovuto prender tempo: quel tempo sarebbe stato necessario ad analizzare la situazione, a quantificare in termini di tempo, di soldi e d’impegno quanto sarebbe servito per produrre un nuovo documento, e poi avrebbe dovuto e potuto rispondere nei dovuti modi e termini a qualunque persona ne richiedesse chiarimenti.  Questo ovviamente non si e’ verificato, producendo non solo tremendo disagio in chi a quelle sue “parole leggere” aveva voluto credere, ma anche una conseguente dimostrazione di menefreghismo dell’istituzione.

Alla luce di questo, mi chiedo come si possa pensare che sia questa persona sia il suo strascico di ministri ed attendenti, siano stati in grado di modificare il testo della costituzione Italiana!

Una persona che non sa gestire una situazione si grave, ma non impossibile, una persona che non riesce nemmeno a coordinarsi con i suoi ministri e responsabili di settore, una persona che ama “sparare frasi ad effetto e promesse inattendibili”,  non può a parer mio in nessun modo essere considerata in grado di modificare un testo complesso e delicato come “LA COSTITUZIONE ITALIANA”.

Concludo affermando che penso sia questo il motivo che ha spinto “L’autority” a bloccare la messa in onda del servizio per parcondicio, ovvero per non “palesizzare” ulteriormente l’incapacità “costituzionale” di chi ci propone un referendum sulla modifica della costituzione Italiana!

Danilo Amelotti

#daniloamelotti

Ecco il tanto discusso servizio di Filippo Roma sul premier Matteo Renzi e i diritti negati ai disabili, che per motivi di par condicio prima del referendum non ci lasciano trasmettere questa sera in tv. Dopo 17 anni di imperdonabile ritardo da parte dello Stato, Matteo Renzi ha mantenuto la promessa fatta ai disabili […]

Source: Renzi e i diritti negati ai disabili, ecco il video censurato | Imola Oggi

E POI LEGGI ARTICOLI COSÍ E NON PUOI NON CONTESTARLI. In risposta a: Siamo forti a sparare ma, nell’era del terrore, c’era bisogno degli spari olimpici di Rio? 

E’ buffo come certe persone vedono il mondo e lo interpretino a modo loro!

Personalmente sono sempre stato per la libertà di stampa e di parola, quindi anche per la libertà dell’autore dell’articolo che segue di scrivere le sue idee.  Ma non posso esimermi dal contestarlo, e dal contestare ogni parola, frase e pensiero del suo articolo.

Lo sport, seppur usi strumenti simili a quelli usati da terroristi e delinquenti, non può mai essere avvicinato agli stessi.  Infatti, paragonare lo sparo di una doppietta da tiro al piattello allo sparo di un fucile maneggiato da un folle o da un soldato non ha alcun senso; il paragone citato dall’autore di questo articolo è simile a paragonare un cuoco che con maestria nell’uso del coltello, affetta perfettamente una bistecca o un cavolo, ad uno dei tanti assassini che ultimamente hanno ucciso per mezzo di machete, coltelli, accette o altro!

No caro Sig. Boldolini, la sua libertà di espressione deve comunque e sempre essere abbinata alla capacità di intavolare riflessioni o discussioni sane, non basate sulla paura o sulla cieca ed estremista categorizzazione di uno strumento ad un unico scopo!

Penso di poter dire senza remora alcuna che questo suo articolo potrebbe essere avvicinato al pensiero estremista di chi, in quest’ultimo anno, ha commesso atti barbarici nel nome di un “libro” che dice esser stato scritto da un “semidio”.  Per come la mette lei, allora, dovremmo fermare le corse dei camion (certo non sono famose come le olimpiadi, e forse lei non sa nemmeno che esistono), riporre tutti i coltelli ed i machete nei cassetti, smettere di guidare le macchine, e magari interrompere anche le attività nelle cave, così da non dover più sentire il rumore di quel motore, o la vista di quella lama, o il boato di quell’esplosione che tanto ci ricordano atti efferati accaduti per mezzo di quegli stessi strumenti usati però per provocare la morte!

Forse è il momento che tutti voi “pacifisti delle 10.45” smettiate di strumentalizzare le sole armi da fuoco, nel tentativo mal riuscito di trovare un facile responsabile a tutte le vostre più radicate paure, o di ottenere qualche visualizzazione in più della vostra pagina web (e così guadagnare qualche soldo in più con la pubblicità spazzatura di cui amate cospargere i vostri siti). Ciò che invece dovreste fare è un informazione lecita, una critica costruttiva, o delle proposte sensate che non siano alla ricerca del “like” bensì alla ricerca della “giustezza sociale”.

Danilo Amelotti

Segue l’articolo che contesto! 

Oro, argento e mira”, titola la Gazzetta dello Sport. Viva l’Italia, viva “le madri con in mano un fucile”, viva il medagliere che ingrassa. Dello stesso tenore, tutti i media italiani. Eppure, basta distogliere lo sguardo dal video, e ascoltare il suono che accompagna queste vittorie, perché un dubbio sotterraneo s’insinui.Lo sappiamo, è quasi impossibile e, visti i successi italiani, suonerebbe persino anti-patriottico, se non vetero-pacifista, ma non è questo il punto. Il punto è che, dopo più di un anno di spari, esplosioni e sangue, il vero gesto olimpico sarebbe stato sospendere le discipline di tiro.

Ci perdonino le “mamme-cecchino” Bacosi e Cainero, il tiratore di ghiaccio Campriani, tutti sparatori indefessi e maniacali, tutti pistola, sacrifici e famiglia, ma onestamente in questo momento, mentre ancora riecheggiano gli spari dei kalashnikov del Bataclan, o le immagini dei neri americani uccisi per strada dai poliziotti, non riusciamo a vedere molta gioia sportiva nel colpire un piattello, nessuna felicità nel centrare un bersaglio imbracciando carabine o fucili da caccia. E l’eco degli spari risuona inquietante, mentre la retorica che l’accompagna persino oscena.

Sappiamo che questo ragionamento ha un punto debole, che le discipline di tiro non sono le sole a simulare antiche e nuove tecniche di guerra. E che anche gli sport di squadra sono il simulacro di conflitti per il controllo del territorio. Eppoi che fare con le lame, con le sciabole, con il fioretto? Con la lotta e la boxe?Insomma, che lo sport serve anche a questo, a fare la guerra tra paesi per finta, a renderla liturgia giocosa.

Però, però, ci sono quei suoni degli spari… e quei gesti così simili a quelli che ci hanno terrorizzato negli ultimi mesi che grazie anche ai social sono entrati con prepotente familiarità nel nostro immaginario quotidiano.Un’esagerazione? Durante la prima e la seconda guerra mondiale i Giochi furono per forza di cosa sospesi, se questa che stiamo vivendo, come autorevoli personaggi non mancano di sottolineare, o di evocare, è davvero la terza, una sospensione degli spari a Rio sarebbe stato forse opportuno.

Source: Siamo forti a sparare ma, nell’era del terrore, c’era bisogno degli spari olimpici di Rio? | Stefano Baldolini

Is the OSCE still relevant? | Europe | DW.COM | 04.05.2016

 

 

Is the OSCE still relevant?

On this week’s “Conflict Zone,” Lamberto Zannier, OSCE Secretary General, discusses how his organization can maintain relevance in a world with aggressive states, brutal dictators and a troubling political landscape.

The Cold War is slowly coming back to life, with the conflict in Ukraine simmering, Russia buzzing American warships in the Baltic and Soviet-era bombers lurking near European airspace.

“Geopolitics are back,” Lamberto Zannier, Secretary General of the Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE), said on DW’s Conflict Zone with Michel Friedman. “We see competition, we see confrontation, we see lack of confidence in Europe. We also see a problem of lack of reconciliation after the end of the Cold War.”

Zannier is stuck in the middle, trying to be impossibly diplomatic. He is tasked with confronting human rights abuses and military aggression while staying on the good side of 57 countries that make up the largest intergovernmental organization in the world, including Russia, Ukraine, the United States and all 28 EU member states.

The question is, can an organization with such a broad mandate be successful at keeping peace, strengthening democracy and bridging divides?

Is the OSCE effective in Ukraine?

On April 28, the OSCE warned of a “blatant disregard” of peace agreements in Ukraine. With the conflict in eastern Ukraine ongoing since the Minsk agreement was signed in September 2014, the organization’s warning is sounding more and more like a broken record.

“It is difficult for the international community – and this is not only the OSCE – to stop a conflict of this magnitude,” Zannier said on Conflict Zone, defending the OSCE’s response to the crisis.

The OSCE has more than 700 monitors on the ground but they often have difficulty even observing effectively. Out of 37 land crossing points between Russia and Ukraine, OSCE observers are allowed at just two.

‘We are frustrated’

“We are frustrated because we would like to have access everywhere,” Zannier said. “We don’t have access everywhere but we have access to lots of places.”

Part of the issue is that observation missions like the one in Ukraine must be approved by consensus of all countries, so Zannier must remain extremely diplomatic.

“It’s more difficult to operate by consensus,” Zannier said. “It takes more time.”

It also takes speaking extremely carefully. At one point, Friedman asked Zannier if member states like Poland and the Baltics were right to be afraid of a Russian aggression.

“I think the concerns are legitimate and we are taking them into account, too,” Zannier said.

“So what does it mean: ‘taking concerns into account?'” Friedman asked.

“This means that I give them a platform to clarify, and, first of all, to express their concerns, and then to discuss them with everybody else,” Zannier responded.

Could the OSCE push harder for democracy and human rights?

The OSCE isn’t just a security organization, their mandate also extends to “respect for human rights and fundamental freedoms, including the freedom of thought.”

On Conflict Zone, Friedman pressed Zannier on where the organization stands: “Are we talking about a Russian version of human rights? Are we talking about a Kazakh version of democracy? A Turkish one? Or perhaps western principles? I mean, which is it?”

“There is not a single model of democracy,” Zannier responded. “So democracy must take into account culture, history, social aspects of each of the countries. So there isn’t a blueprint that can be applied. (…) Democracy is work in progress.”

Zannier has worked in international diplomacy for his entire career, starting out in the Italian foreign service, working through positions at the United Nations and OSCE, with a focus on arms control and security issues. He was appointed Special Representative of the UN Secretary-General for Kosovo from 2008 to 2011. He took office as Secretary General of the OSCE on July 1, 2011.

Source: Is the OSCE still relevant? | Europe | DW.COM | 04.05.2016